La pandemia di Covid19 sta evidenziando che lo spazio della città è una priorità vitale per qualsiasi comunità. Dobbiamo monitorare ciò che sta accadendo in questo momento ed imparare a cambiare i comportamenti e i modelli di vivere la città, i modi di trasporto, per garantire la resilienza sociale, culturale, ambientale ed economica.
In poche settimane la pandemia di COVID-19 ha drasticamente cambiato il rapporto della maggior parte delle persone con la città: i quartieri, le strade e le piazze in cui viviamo si sono svuotati.
Quando sono iniziate le restrizioni, che hanno determinato il necessario distanziamento sociale, quasi tutte le attività si sono ingegnosamente adattate all’utilizzo dei sistemi tecnologici disponibili con video-chiamate e riunioni di lavoro online, ma nessuno è soddisfatto da questi surrogati di vita sociale.
Anche nell’utilizzo degli spazi pubblici urbani piacerebbe a qualcuno guardarsi da un vetro di protezione e stringersi la mano attraverso dei guanti, anziché sedersi su una panchina (come mostriamo provocatoriamente nell’immagine di copertina dell’articolo realizzata dall’architetto Annamaria Pace)?
Non siamo programmati per il distanziamento sociale e non ci siamo evoluti per essere fisicamente separati dagli umani, per questo risulta innaturale vivere in una città senza poter utilizzare gli spazi pubblici nati fin dall’origine della città per la socializzazione.
In Italia abbiamo assistito a una riduzione dei volumi di traffico del 94% verso i luoghi di consumo e socializzazione e del 63% verso i luoghi di lavoro (COVID-19 Community Mobility Reports-Google).
Abbiamo l’opportunità di guardare le strade sotto una nuova luce: prive di traffico, del rumore e degli inquinanti associati.
Nel futuro prossimo per limitare la diffusione del virus COVID-19 sarà necessario utilizzare lo spazio pubblico delle città in modo differente dall’attuale. L’eliminazione della diffusa e opprimente sosta dei veicoli su strada può consentire la diluizione della densità di popolazione che utilizzerebbe la strada come luogo d’incontro.
Inoltre la densità demografica può essere diluita ampliando lo spazio pubblico nello spazio privato, per esempio utilizzando gli spazi privati dei cortili degli edifici, che potrebbero diventare spazi pubblici riprendendo il principio della corte e ricreando nuove moderne scenografie “barocche”.
Così facendo il valore della dimensione umana si può materializzare nel cortile condiviso che assume grandi potenzialità per i residenti in questo momento di crisi. La capacità del cortile di fornire spazi semi-pubblici-privati tramite balconi, zone marginali e giardini si sta già rivelando fondamentale per l’accesso della gente alla vita all’aperto. In un momento in cui le libertà personali e comunitarie sono limitate, questi spazi offrono alle persone l’opportunità di essere semplicemente all’esterno e di connettersi parzialmente o completamente con i vicini per combattere l’emarginazione sociale.
La sfida futura sarà pensare alla città come un luogo in cui lo spazio è condiviso, dove la natura è prioritaria, dove i bisogni umani fondamentali come la luce, l’aria e la connessione con la comunità sono un diritto per tutti. Una visione della città in cui questi principi non dovrebbero essere riconosciuti solo in tempi di crisi.
Bibliografia:
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https://gehlpeople.com/blog/public-space-and-public-life-are-more-important-than-ever/
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https://www.google.com/covid19/mobility/
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https://milano.repubblica.it/cronaca/2012/07/12/news/milano_scopre_il_condominio_day_festa_in_cortile_per_fare_amicizia-38909655/
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https://www.viveremilano.info/dal-comune/feste-di-vicinato-2018.html
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https://www.nytimes.com/2020/04/01/opinion/coronavirus-lockdown-loneliness.html
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Lewis Mumford, The city in history, Harcourt, Brance and Jovanovich, inc., 1961